Nei giorni scorsi abbiamo parlato del mercato statunitense e delle produzioni birrarie estreme che lo caratterizzano (questo il post, "Dove va il mercato U.S.A.?"). Per continuare il discorso e spostarlo sul suolo italico, dove tali produzioni - nella nostra ignoranza - pensavamo non vi fossero, abbiamo allora deciso di degustare la 22 La Verguenza che se non è assimilabile ad una birra estrema made in U.S.A., sicuramente è piuttosto inusuale per il mercato italiano, a fronte della sua intensa e decisa luppolatura (ben 90 IBU di amaro). Parliamo di una produzione del birrificio Menaresta con sede a Carate Brianza, non lontano dal lago di Como. Il nome del birrificio ha un'origine che merita di essere raccontata. Non molto distante a quota 973 metri s.l.m. sgorga la sorgente che dà origine al fiume brianzolo per eccellenza il Lambro.
Il nome della sorgente è appunto Menaresta, e fin qui nulla di straordinario. Ci ha però, incuriosito l'etimologia del nome e abbiamo così scoperto che probabilmente deriva dall'intermittenza con cui sgorga l'acqua: "Mena", ossia andare, scorrere e "resta", riamanere. La zona è carsica e sotto la fonte si apre un'ampia cavità che trattiene l'acqua per poi rilasciarla fragorosamente quando si è riempita completamente, creando questa bizzarra intermittenza idrica, menaresta (scorre e stagna).
La 22 La Verguenza appartiene alla famiglia delle American Pale Ale, è prodotta con lieviti ad alta fermentazione e ha una gradazione alcolica di 8 % vol. Come anticipato però, l'elemento più caratteristico di questa birra, è il grado di amaro, circa 90 IBU. I proprietari del birrificio dicono di essersi ispirati ad un'icona vivente nel panorama birrario statunitense, nientemeno che Sam Calagione del blasonato Dogfish Head in Sierra Nevada. In pratica, si tratta di aggiungere costantemente, il luppolo, per tutta la durata della bollitura del mosto. Nella birra 22 La Verguenza sono stati impiegati, senza parsimonia alcuna, i luppoli Simcoe, Chinook, Amarillo, Columbus e Centennial, per quanto ci sia dato di sapere.
Venendo all'analisi sensoriale, partiamo con il dire che ha un bel colore ambrato piuttosto accentuato, con riflessi rubino. La schiuma è di media persistenza nel bicchiere. Quasi superfluo, dire che gli aromi sono monopolizzati da sentori erbacei, gradevoli, con i luppoli un po' troppo in evidenza.
In bocca i luppoli si aprono la strada con un'autentica deflagrazione di amaro intensissima e persistente, che sviluppa delle sensazioni dapprima gradevoli, ma che non tardano a rivelarsi eccessive e prepotenti dal momento che finiscono con il monopolizza la scena gustativa e retrogustativa. Non ci sentiamo di dire che sia completamente equilibrata, tuttavia, bisogna riconoscere il merito al mastro birraio del Menaresta di aver saputo usare - e per quel che è possibile fare con 90 IBU di amaro - domare piuttosto bene i luppoli americani. Birra per gli amanti del genere "Luppolatura Estrema".
Abbinamenti gastronomici - Questa volta è stata davvero dura trovare un accordo sulla pietanza da abbinare ad una birra così luppolata. Alla fine abbiamo optato per una zuppa di fagioli rossi, polpa di pomodorini e pezzetti di salsiccia con tanto peperoncino. Il risultato è stato davvero apprezzabile. Il piccante della zuppa e il dolce della salsa di pomodoro stemperano e si accordano con gli eccessi luppolini della birra.
Per conoscere le altre birre del birrificio Menaresta o per fare una recensione delle loro birre, potete fare riferimento al seguente link:
Tutte le birre del Birrificio Menaresta
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