mercoledì 20 marzo 2013

La Birra dei Faraoni

La birra dei Faraoni
La birra, oltre ad essere la bevanda più diffusa al mondo, è, probabilmente anche la più antica. E' ormai certo che i Faraoni bevessero questa straordinaria bevanda. Nell'Antico Egitto, infatti, la birra era un alimento importante e molto apprezzato, al punto che era usata nelle cerimonie religiose più importanti dai sommi sacerdoti del faraone. Era considerata a tutti gli effetti un alimento alla stregua del pane. Bere birra era anche una sana abitudine contro le malattie batteriche e le infezioni, spesso letali, dal momento che le scarsissime condizioni igieniche, rendevano l'acqua, contaminata e quindi pericolosa per la salute umana. La birra, invece, dal momento che, il mosto veniva bollito ad alta temperatura, era di gran lunga più sicura e genuina.
Bisogna partire subito con il dire, che nell'Antico Egitto non si conosceva l'uso del luppolo e che non si utilizzavano ingredienti quali il caramello per addolcire la bevanda. Parliamo pertanto di birra, in molti casi, a fermentazione spontanea, non amaricata, addolcita con pasta di datteri o altra frutta e al massimo aromatizzata con alcune spezie ed erbe, quali il coriandolo e il ginepro e in alcuni casi anche con i fiori. I profumi e il sapore della bevanda che ne derivava, dovevano essere pertanto, molto diversi da quella che oggi tutti conosciamo e apprezziamo.

Gli archeologi, negli scavi in Egitto, hanno ritrovato molti manufatti utilizzati quasi certamente per la produzione brassicola: recipienti in terracotta, residui di chicchi di farro e di alcune spezie.

Sono stati anche ritrovati dei geroglifici che, una volta tradotti, hanno rivelato agli occhi dell'uomo moderno, la ricetta della birra degli Egizi. O per essere più precisi, "una", delle ricette adottate.
In particolare è giunta fino a noi, quella di Zosimo di Panapolis, che seppur  frammentaria e approssimativa rende bene l'idea di come dovesse essere prodotta la birra nell'Antico Egitto. Queste le sue parole, debitamente tradotte:

«Prendete dell’orzo pulito e di buona qualità, lasciatelo a bagno per un giorno, quindi toglietelo e riponetelo in un luogo riparato dal vento fino al mattino successivo, dopo di che, bagnatelo nuovamente, per un periodo di sei ore. Mettetelo in un recipiente più piccolo e perforato continuate a bagnarlo e a farlo essiccare, finché non si sfalda. A questo punto, sbattetelo al sole per separare i chicchi dal resto. Quindi macinatelo e fatene dei pani, aggiungendo del lievito, proprio come il pane e cuocetelo, non troppo, e quando i pani lievitano, sciogliete dell’acqua zuccherata e filtratela con un colino o un leggero setaccio. Cuocete i pani, mettendoli in una vasca con dell’acqua e fatela bollire un poco, in modo che non giunga all’ebollizione ma neppure si intiepidisca, poi toglietela e filtratela e, una volta preparata, riscaldatela ed esaminatela».

Secondo molti pareri autorevoli, Zosimo, spiega il processo di maltazione dell'orzo che, seppur con alcune modifiche, è ancora oggi impiegato nella produzione birraria. Spiega poi un aspetto cruciale che caratterizzava la birra egiziana. Essa era realizzata mettendo a fermentare, insieme agli altri ingredienti della cotta, anche dei pani cotti solo a metà, in modo tale da permettere l'innesco del processo fermentativo. Ovviamente trattandosi di vicende risalenti a qualche millenio di anni fa, non esiste piena convergenza di pareri tra gli archeologi sulle fasi del processo di birrificazione egizia. Alcuni ricercatori ritengono, infatti, che essi non utilizzassero minimamente la tecnica della maltazione dell'orzo ma aggiungessero del farro in tempi successivi, durante la preparazione della cotta. Altri studiosi ritengono, in tema di fermentazione, che gli antichi egizi ricorressero semplicemente a quella che noi oggi definiremmo "fermentazione spontanea", ossia per mezzo di microrganismi presenti nell'aria e negli alimenti.

Cerchiamo di fare un po' più di chiarezza sul processo di birrificazione adottato dai Faraoni fin dal V° millennio a.C.. Come si è precedentemente anticipato, uno degli ingredienti più importanti per la produzione di birra era il pane, o meglio dei pani cotti solo parzialmente. Immergiamoci nell'Antico Egitto, andiamo idealmente a ritroso, con la mente, di 6.000 anni! Pensiamo al sole abbacinante e rovente de Il Cairo in una giornata di maggio. Il brulicare rapido delle persone nel bazar. Gli schiavi e i garzoni del più grande panettiere della città, completamente madidi di sudore, stanno schiacciando ritmicamente qualcosa con i piedi, all'interno di grossi recipienti, tenendosi abilmente ad un bastone conficcato saldamente nel terreno. Stanno impastando una poltiglia di farro e acqua.

Terminata questa fase, asportano piccole quantità di pasta e le dispongono in vasi di terracotta, che verranno poi impilati e messi a contatto con il fuoco per qualche minuto. Vengono poi lasciati nel forno giusto il tempo di cuocersi all'esterno. All'interno i pani rimangono crudi, per favorire i processi fermentativi successivi. A questo punto i garzoni del panettiere procedono, riducendo i pani a pezzi più piccoli e li immergono in vasche in cui è stata precedentemente versata acqua mista a farro, erbe, spezie e dolcificanti - quali la pasta di datteri - in quantità e qualità variabili a seconda della birra finale che si vuole ottenere.

In questo proto-mosto potevano essere aggiunte erbe e spezie facilmente reperibili in Egitto, quali l'angelica, la salvia sclarea, il cardamomo, il rafano ... A titolo di esempio, si consideri che la birra destinata agli uomini era molto più speziata e alcolica, mentre quella destinata alle donne era più leggera e spesso aromatizzata con fiori.

Ma ritorniamo ai garzoni del panettiere, che a questo punto devono portare ad ebolizione il mosto precedentemente ottenuto. Terminata questa operazione, hanno quasi completato il proprio lavoro e lasciano fermentare il decotto per un tempo, che non è dato sapere, si può supporre - come del resto accade anche oggi - per qualche giorno, in modo tale da dare il tempo al processo fermentativo di compiersi integralmente. Quindi il mosto terminata la fermentazione verrà filtrato accuratamente e versato in grosse giare chiuse con rudimentali tappi di terracotta. Il liquido sarà poi lasciato riposare in questi recipienti per qualche settimana.

Fa una certa impressione, leggere un procedimento di birrificazione che ha almeno cinque millenni e che in alcune delle sue fasi salienti ricorda da vicino la produzione birraria domestica moderna, fatta di pentoloni, filtraggi, travasi, attese e poi ancora travasi ...

Le produzioni birrarie egizie più pregiate, probabilmente quelle aromatizzate con il miele, erano utilizzate dai sommi sacerdoti del Faraone nelle celebrazioni rituali più importanti, come preziosa offerta votiva agli Dei. Tuttavia la birra accompagnava la vita di tutti i giorni della gente comune, alla quale spesso ricorreva come sostituto del pasto. Secondo alcuni archeologi, in certe situazioni gli operai dell'Antico Egitto venivano pagati, addirittura, con quantitativi di birra corrispondenti al lavoro prestato. Se venisse confermato, assumerebbe un significato del tutto nuovo e più onorevole, l'odierno modo di dire: "Quel tale si beve tutto ciò che guadagna!".

Fonti: Science (luglio 1996) di Delwen Samuel e Mark Nesbitt (massimi esperti mondiali di tecniche arcaiche di produzione di pane e di birra dell'Antico Egitto), articoli sul sito del McDonald Institute for Archaeological Research, University of Cambridge. Per approfondire.

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