venerdì 31 maggio 2013

L'Italia dei microbirrifici

L'Italia dei microbirrifici, ossia delle produzioni birrarie di piccole dimensioni, continua a crescere in modo costante ormai da qualche anno, in netta controtendenza rispetto al trend italiano delle altre produzioni e a quello europeo. Attualmente nel "Bel Paese" sono presenti niente meno che 554 tra microbirrifici, brewpub e beerfirm per un totale di 2927 etichette di birre, proliferate nel corso degli ultimi anni e questo dato viene aggiornato al rialzo ogni giorno che passa. Cerchiamo di fare un po' di chiarezza in un ginepraio caratterizzato dall'insufficienza legislativa. Per prima cosa in materia di microbirrifici, la normativa non interviene distinguendo puntualmente tra birrifici e microbirrifici. A fronte di questa latitanza, come spesso accade, sono intervenute altre fonti a supplire a tali mancanze.
Nello specifico, Unionbirrai, associazione di categoria dei produttori di birra è intervenuta dando alcune indicazioni al riguardo, proponendo che si possa considerare microbirrificio, quell'azienda che produce fino ad un massimo di 5.000 hl di birra non pastorizzata in un anno (più di recente si è parlato di 10.000 hl annui). Brewpub, che alla lettera significa pressappoco "pub dove si produce birra", termine sicuramente ostico nel contesto italiano, che spesso viene sostituito con birreria, indica un'azienda che produce birra destinandola principalmente ai propri clienti che possono consumarla in appositi spazi - locale di mescita - messi a disposizione.

Un fenomeno interessante, che nel corso degli ultimi anni, ha assunto rilevanza al punto da costituire quasi una vera e propria tendenza, è quello delle beer firm. Come suggerisce il nome, si intende una produzione birraria che non dispone di un luogo di produzione. Si tratta cioè di una birra senza microbirrificio. Queste produzioni vengono realizzate nelle sedi e con gli impianti di microbirrifici già affermati, che mettono periodicamente a disposizione i propri impianti a fronte della corresponsione di un prezzo a titolo di affitto. La beer firm è spesso il passo successivo all'homebrewing, in una lenta e ponderata ascesa verso l'apertura di un microbirrificio vero e proprio. 

I microbirrifici, le beerfirm e i brewpub, geograficamente parlando, si sono sviluppate nel corso degli ultimi anni soprattutto al Nord e al Centro. Le regioni leader, per quantità di birra annua prodotta e per numero di impianti e beer firm nel settentrione italiano, sono la Lombardia, il Veneto, il Piemonte e l'Emilia Romagna mentre al Centro il Lazio è il punto di riferimento mentra anche la Toscana non se la passa male. Il Sud, purtroppo, rimane in coda. Esistono tuttavia recenti segnali di inversione di questa tendenza, soprattutto in Puglia dove nell'ultimo anno si è registrato un intenso fermento che ha portato a tante nuove aperture e qualcosa sembra muoversi anche nel contesto campano.

C'è poi il fenomeno della birra fai da te.
In Italia l'homebrewing è un fenomeno in grande espansione e rappresenta la porta d'ingresso nell'affascinante mondo delle produzioni brassicole. Grazie anche alla sempre più facile reperibilità dei kit per la produzione di birra, che possono essere recapitati comodamente al proprio domicilio, sono sempre di più gli italiani che decidono di dedicarsi a questo affascinante hobby. E' possibile iniziare e procedere per gradi di difficoltà via via crescenti. Il primo passo è sicuramente rappresentato dall'acquisto di un kit di produzione, che è possibile ottenere con un modesto investimento di circa 100 euro, su uno dei tanti siti internet dedicati.

La prima cotta può essere realizzata con pochi sforzi e in modo semplice utilizzando l'estratto di malto già luppolato, in tal modo è possibile concentrarsi e impratichirsi su una fase specifica della produzione birraria, quella della fermentazione. Si può quindi aumentare il livello di difficoltà, ma anche di soddisfazione, passando alle produzioni brassicole che aggiungono all'estratto di malto luppolato anche piccole quantità di grani d'orzo maltati e qualche fiore essiccato di luppolo.

Infine quando ci si sente sufficientemente pronti, ci si può buttare nelle produzioni, cosiddette "all grain", ossia produzioni birrarie caratterizzate dall'esclusivo utilizzo di grani di malto d'orzo e fiori di luppolo essiccati. Questa tecnica è molto più impegnativa dal momento che occorrerà seguire con grande attenzione tutte le fasi della produzione, dalla maltatura dell'orzo fino alla fermentazione, passando per la complessa fase della cottura in cui è necessario avere estremo scruopolo nel rispettare le varie temperature.

Le birre prodotte dai microbirrifici, dagli homebrewer, dalle beer firm, piuttosto che dai brewpub hanno tutte delle caratteristiche comuni. Si tratta di birre c.d. artigianali. In realtà l'aggettivo "artigianale" non significa granché. Spesso lo si usa come sinonimo di quelle birre prodotte dai soggetti sopra elencati contrapponendole alle birre prodotte industrialmente dai grandi brand mondiali. Anche se non vi è un totale accordo su cosa si intenda per produzione birraria artigianale, possiamo provare a delineare umilmente alcune caratteristiche che ci sembrano interessanti, senza avere la pretesa di esaurire l'argomento. La birra c.d. artigianale dovrebbe rispettare i seguenti profili:
  • prodotta senza l'utilizzo di conservanti e/o coloranti;
  • non pastorizzata e se possibile anche non filtrata;
  • prodotta con l'utilizzo di malto d’orzo;
  • gasatura naturale (no addizionamento con anidride carbonica);
  • lieve carbonazione in bottiglia;
  • assenza di additivi chimici di qualsiasi genere.
Una nota a margine, parlando del fenomeno dei microbirrifici in Italia, è doverosa. Tanti sono i pregi delle produzioni birrarie artigianali in Italia, dalla qualità delle materie prime impiegate alla feconda fantasia italica che ci contraddistingue in ogni attività. La birra artigianale italiana si segnala sicuramente per la sterminanta quantità di ingredienti, spesso bizzarri, utilizzati nella sua produzione e per il buon livello di qualità del prodotto finito, anche se spesso, il prodotto finito si discosta eccessivamente dagli stili di riferimento. E qui emerge un primo elemento su cui vale la pena di soffermarsi.

Spesso le produzioni italiane, infatti, sono delle interpretazioni personali e discutibili di stili famosi, che i mastri birrai sembrano non conoscere a fondo e soprattutto, a tal punto, da potersene discostare. Per essere più chiari, è come se alcuni mastri birrari di casa nostra fossero presi da una smania di creare qualcosa di nuovo, in una malriuscito sforzo, teso fino allo spasmo, di trovare anzitempo uno "stile italiano", che ancora non si vede in modo chiaro e definito. I risultati in alcuni casi sono purtroppo caricaturali, se non addirittura grotteschi.

Un ulteriore ed importantissimo problema che affligge il mondo delle aziende italiane e a maggior ragione anche quello dei microbirrifici è il nanismo imprenditoriale e l'incapacità di pensare in grande. Queste caratteristiche portano a delle conseguenze devastanti per i consumatori e di riflesso anche sulle aziende stesse. Infatti, non avere come principale obiettivo aziendale, quello di crescere costantemente, porta a costruire un'impresa debole e non competitiva, drammaticamente esposta anche ai minimi sussulti del mercato. In Italia tutto ciò si traduce in prezzi per il consumatore finale totalmente fuori mercato rispetto agli altri paesi europei, con alcune eccezioni poco significative sul campione totale. Si consideri a titolo di provocazione - si spera costruttiva - che in un qualsiasi ipermercato, è possibile acquistare una bottiglia di un pregiato vino italiano di un rinomato produttore ad un prezzo mediamente inferiore di 2/3 euro rispetto ad una bottiglia di birra (sempre da 0,75 l) di un blasonato birrificio italiano. 

I microbirrifici e le beer firm italiane
I brewpub italiani
 

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