Nello specifico, Unionbirrai, associazione di categoria dei produttori di birra è intervenuta dando alcune indicazioni al riguardo, proponendo che si possa considerare microbirrificio, quell'azienda che produce fino ad un massimo di 5.000 hl di birra non pastorizzata in un anno (più di recente si è parlato di 10.000 hl annui). Brewpub, che alla lettera significa pressappoco "pub dove si produce birra", termine sicuramente ostico nel contesto italiano, che spesso viene sostituito con birreria, indica un'azienda che produce birra destinandola principalmente ai propri clienti che possono consumarla in appositi spazi - locale di mescita - messi a disposizione.
Un fenomeno interessante, che nel corso degli ultimi anni, ha assunto rilevanza al punto da costituire quasi una vera e propria tendenza, è quello delle beer firm. Come suggerisce il nome, si intende una produzione birraria che non dispone di un luogo di produzione. Si tratta cioè di una birra senza microbirrificio. Queste produzioni vengono realizzate nelle sedi e con gli impianti di microbirrifici già affermati, che mettono periodicamente a disposizione i propri impianti a fronte della corresponsione di un prezzo a titolo di affitto. La beer firm è spesso il passo successivo all'homebrewing, in una lenta e ponderata ascesa verso l'apertura di un microbirrificio vero e proprio.
I microbirrifici, le beerfirm e i brewpub, geograficamente parlando, si sono sviluppate nel corso degli ultimi anni soprattutto al Nord e al Centro. Le regioni leader, per quantità di birra annua prodotta e per numero di impianti e beer firm nel settentrione italiano, sono la Lombardia, il Veneto, il Piemonte e l'Emilia Romagna mentre al Centro il Lazio è il punto di riferimento mentra anche la Toscana non se la passa male. Il Sud, purtroppo, rimane in coda. Esistono tuttavia recenti segnali di inversione di questa tendenza, soprattutto in Puglia dove nell'ultimo anno si è registrato un intenso fermento che ha portato a tante nuove aperture e qualcosa sembra muoversi anche nel contesto campano.
C'è poi il fenomeno della birra fai da te.
In Italia l'homebrewing è un fenomeno in grande espansione e rappresenta la porta d'ingresso nell'affascinante mondo delle produzioni brassicole. Grazie anche alla sempre più facile reperibilità dei kit per la produzione di birra, che possono essere recapitati comodamente al proprio domicilio, sono sempre di più gli italiani che decidono di dedicarsi a questo affascinante hobby. E' possibile iniziare e procedere per gradi di difficoltà via via crescenti. Il primo passo è sicuramente rappresentato dall'acquisto di un kit di produzione, che è possibile ottenere con un modesto investimento di circa 100 euro, su uno dei tanti siti internet dedicati.
La prima cotta può essere realizzata con pochi sforzi e in modo semplice utilizzando l'estratto di malto già luppolato, in tal modo è possibile concentrarsi e impratichirsi su una fase specifica della produzione birraria, quella della fermentazione. Si può quindi aumentare il livello di difficoltà, ma anche di soddisfazione, passando alle produzioni brassicole che aggiungono all'estratto di malto luppolato anche piccole quantità di grani d'orzo maltati e qualche fiore essiccato di luppolo.

Le birre prodotte dai microbirrifici, dagli homebrewer, dalle beer firm, piuttosto che dai brewpub hanno tutte delle caratteristiche comuni. Si tratta di birre c.d. artigianali. In realtà l'aggettivo "artigianale" non significa granché. Spesso lo si usa come sinonimo di quelle birre prodotte dai soggetti sopra elencati contrapponendole alle birre prodotte industrialmente dai grandi brand mondiali. Anche se non vi è un totale accordo su cosa si intenda per produzione birraria artigianale, possiamo provare a delineare umilmente alcune caratteristiche che ci sembrano interessanti, senza avere la pretesa di esaurire l'argomento. La birra c.d. artigianale dovrebbe rispettare i seguenti profili:
- prodotta senza l'utilizzo di conservanti e/o coloranti;
- non pastorizzata e se possibile anche non filtrata;
- prodotta con l'utilizzo di malto d’orzo;
- gasatura naturale (no addizionamento con anidride carbonica);
- lieve carbonazione in bottiglia;
- assenza di additivi chimici di qualsiasi genere.
Spesso le produzioni italiane, infatti, sono delle interpretazioni personali e discutibili di stili famosi, che i mastri birrai sembrano non conoscere a fondo e soprattutto, a tal punto, da potersene discostare. Per essere più chiari, è come se alcuni mastri birrari di casa nostra fossero presi da una smania di creare qualcosa di nuovo, in una malriuscito sforzo, teso fino allo spasmo, di trovare anzitempo uno "stile italiano", che ancora non si vede in modo chiaro e definito. I risultati in alcuni casi sono purtroppo caricaturali, se non addirittura grotteschi.
Un ulteriore ed importantissimo problema che affligge il mondo delle aziende italiane e a maggior ragione anche quello dei microbirrifici è il nanismo imprenditoriale e l'incapacità di pensare in grande. Queste caratteristiche portano a delle conseguenze devastanti per i consumatori e di riflesso anche sulle aziende stesse. Infatti, non avere come principale obiettivo aziendale, quello di crescere costantemente, porta a costruire un'impresa debole e non competitiva, drammaticamente esposta anche ai minimi sussulti del mercato. In Italia tutto ciò si traduce in prezzi per il consumatore finale totalmente fuori mercato rispetto agli altri paesi europei, con alcune eccezioni poco significative sul campione totale. Si consideri a titolo di provocazione - si spera costruttiva - che in un qualsiasi ipermercato, è possibile acquistare una bottiglia di un pregiato vino italiano di un rinomato produttore ad un prezzo mediamente inferiore di 2/3 euro rispetto ad una bottiglia di birra (sempre da 0,75 l) di un blasonato birrificio italiano.
I microbirrifici e le beer firm italiane
I brewpub italiani
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